Attentato mafioso al presidente del Parco dei Nebrodi

L'agguato mafioso al presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, prima responsabile per la Sicilia di BancaSviluppo e candidato al Senato con il movimento “Il Megafono” di Crocetta è avvenuto nella notte tra il 16 e il 17 maggio scorsi, in provincia di Messina su una strada statale che collega i paesini di Cesarò e San Fratello. Un gruppo di persone armate ha attaccato la sua auto. Dal 2013 Antoci è presidente del Parco dei Nebrodi, già gestito per un decennio da commissari. Il parco è una grande area naturale protetta nel nord est della Sicilia.
Probabilmente, l'attentato nasce negli ambienti della mafia agricola e dei pascoli ed è dovuto al fatto che Antoci ha avviato un piano per rivedere le assegnazioni dei terreni agricoli a basso prezzo finalizzate a ricevere fondi europei. Un racket in mano ai potenti circoli della mafia agricola siciliana che ogni anno sottrae milioni di euro al lavoro agricolo nell'isola. Due anni fa è stato introdotto un protocollo che prevede la certificazione antimafia anche per i terreni del parco in affitto di valore inferiore ai 150mila euro. Con questo nuovo sistema di verifiche sono state revocate le assegnazioni di 4.200 ettari di terreni, per un totale di 2,5 milioni di euro l’anno di fondi europei.
In una conferenza stampa dopo l’attentato a Antoci, il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, PD, ha detto che “con l’agguato ad Antoci la mafia ha alzato il tiro, lo Stato deve reagire in modo adeguato. Propongo l’invio dell’esercito nei comuni del Parco dei Nebrodi e perquisizioni a tappeto nelle campagne come ai tempi del sequestro Moro e dei Vespri siciliani”.
A parte che la mafia ha alzato il tiro, protetta dalle istituzioni borghesi, già da tempo, almeno a partire dal ventennio berlusconiano per arrivare al regime renziano. In ogni caso, la soluzione non può essere la militarizzazione del territorio, cioè una “risposta” già miseramente fallita con i Vespri siciliani e che rischia di ricadere interamente sulle masse popolari.
Il ministro dell'interno, quell'Angelino Alfano che proprio un campione dell'antimafia non può essere definito ha preso la palla al balzo: "Arriveranno in questo territorio dodici reparti di prevenzione crimine".
Risposta sempre tardiva e inulte quella della militarizzazione, secondo il principio “solleva più pruvulazzu possibile per lasciare le cose come sono”.
Per risolvere alla radice il problema i terreni agricoli devono essere definitivamente sottratti al meccanismo di appropriazione mafioso, seriamente collettivizzati e assegnati alle cooperative agricole. Sarebbe anche un modo per rilanciare il lavoro in Sicilia, ma questo non lo vogliono Renzi, il suo sodale Alfano e il suo compare di partito, Crocetta, che con la loro antimafia da salotto hanno favorito e coperto l'ascesa di personaggi del calibro di Montante, Helg, Costanzo, i quali hanno fatto carriera sulla pelle delle masse popolari e lavoratrici e portato di decenni indietro la lotta alla mafia in Italia, usando l'antimafia di facciata del regime renziano per generare un nuovo sistema clientelare.
Certo, il PMLI esprime solidarietà a Giuseppe Antoci, ma ancora una volta il comportamento e le “risposte” prive di strategia del governo nazionale e regionale alla sua vicenda dimostrano che Renzi e Crocetta non intendono in alcun modo colpire la testa della mafia, che si trova proprio nell'alta finanza, nei circoli dell'industria, dell'agricoltura, del terziario e nelle istituzioni.

1 giugno 2016